Di Isabella Parmiciano
No, io lo giuro per Colui che ha trasmesso alla nostra anima la Tetractis nella quale si trovano la sorgente e la radice dell’eterna natura. (Detti Aurei)
Questo appena citato è uno dei Detti Aurei appartenenti alla Scuola Pitagorica.
I Detti o Versi Aurei erano una serie di dettami riguardanti anche scelte di vita quotidiana, riservati ai suoi Iniziati.
Alla Scuola Pitagorica, erano ammessi solo quelli che superavano un esame e un giudizio preliminare. Per essere ammessi a questa Scuola, i novizi dovevano sostenere delle prove. Pitagora osservava i suoi allievi e li studiava anche dai tratti caratteristici del volto, quasi come fosse un precursore della fisionomica. L’esito era dato dopo almeno tre anni; gli aspiranti, una volta ammessi, erano considerati Acusmatici, dovevano rispettare il silenzio per almeno cinque anni, mettere in comune i loro beni materiali. Agli Acusmatici era permesso solo ripetere i detti di Pitagora, senza mai aggiungere nulla di proprio osservare un assoluto silenzio, non interrompere mai, non esprimere la loro opinione perché non comprendendo ancora l’origine e il fine delle cose avrebbero ridotto la dialettica a sterile polemica o sofismo. Superato questo periodo, diventavano Matematici, detti anche “esoterici”. A loro era imposto l’obbligo del segreto. Gli affiliati alla Scuola dovevano sentirsi realmente dei Fratelli, dei veri Amici, tra i quali tutto è in comune e che dovevano soccorrersi l’un l’altro in ogni contingenza. L’amicizia era un valore fondamentale: “L’amico è un altro te stesso”. Le energie individuali erano risvegliate, la morale diventava viva e poetica, la regola accettata con amore cessava di essere una costrizione e diventava l’affermazione di un’individualità libera.
Originato dal pensiero Pitagorico, la costituzione del Triangolo Sacro rappresenta la manifestazione superficiale e spaziale (laddove il Delta si trasforma,vedremo come, in una Piramide) della manifestazione della Monade nello spazio geometrico superficiale e profondo.
Per parlare di Delta Sacro è necessario sottolineare quindi l’aspetto matematico, legato a questo simbolo, affinché si chiarifichi naturalmente quello filosofico.
Nella scuola filosofica pitagorica, con la parola “Monade” si indicava sia l’unità aritmetica che l’unicità delle Idee appartenenti al mondo metafisico.
In aritmetica vi esistono tre operazioni dirette: l’addizione, la moltiplicazione e l’innalzamento a potenza. Di queste tre operazioni soltanto l’addizione permette il passaggio dall’unità alla dualità, dato che il prodotto e l’elevazione a potenza dell’unità danno come risultato ancora l’unità.
Ciò significa che per ottenere il numero due bisogna implicitamente ammettere che possano esistere due o più unità distinte. Ma se si dà per vero che l’Unità non può che essere unica, è ipotizzabile che un’altra unità non può essere che una illusione. Tale fenomeno di apparente distinzione tra due elementi separati tra loro o ad esempio tra io e non io, era spiegato dai pitagorici come un allontanamento della monade da sè stessa, come una scissione dell’Unità in una dualità.
Aggiungendo quindi con questa stessa operazione altre unità si formerebbero gli altri numeri.
Questo ragionamento è necessario per la comprensione della genesi della forma triangolare nello spazio geometrico superficiale.
Due punti rappresentanti le due unità generate dall’Uno unite da una linea, formano una retta delimitata.
Il tre è il risultato del l’addizione della monade con la diade. 1 + 2= 3.
Ed i numeri partendo dal tre ammettono oltre alla raffigurazione lineare anche una raffigurazione superficiale su un piano.
Ed ecco quindi la raffigurazione geometrica del triangolo sul piano.
A differenza del numero tre, il numero quattro ammette anche una raffigurazione geometrica nello spazio. Proiettando uno dei vertici del triangolo sulla sua base nella dimensione della profondità spaziale e aggiungendo il quarto (ed ultimo punto per noi conoscibile date le dimensioni che abitiamo col corpo fisico) si ottiene il tetraedo meglio conosciuto come piramide.
La piramide risulta così essere il completamento della manifestazione universale, perfezione raggiunta aritmeticamente con il numero 10, che è la somma dei numeri fino al 4. (1+2+3+4=10)
All’interno del Delta Luminoso troviamo le lettere ebraiche del Tetragramma Yod He Waw He.
Tra le varie ipotesi di traduzione azzardate dagli studiosi contemporanei, il nome “YHWH” potrebbe essere un verbo derivato dalla radice dell’ebraico biblico היה (h-y-h) – che significa “essere”, “divenire”, “avvenire” e ciò in effetti si collegherebbe al passo di Esodo 3:14[18] in cui Dio dà il suo nome come אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (Ehyeh Asher Ehyeh), tradotto variamente come “Io sono colui che è”, “Io sono colui che sono”, “Sarò chi sarò” o ancora “Io sono io-sono”o “Diverrò ciò che deciderò di divenire”, “Diverrò qualsiasi cosa mi aggradi”.O ancora traducibile in questo modo: “colui che induce a esistere” o “che dà la vita” (essendo l’idea base della parola “respirare” e quindi “vivere”)o “Egli fa divenire” o ancora “Colui che è, che esiste”.[16]
In sintesi potremmo definire così il Delta Luminoso:
Onnicomprensivo di ogni essere.
Racchiudente la Totalità dell’Unità.
Il Principio primo della Vita che si manifesta e che si allontana da sè stessa per conoscerSi e per amarSi attraverso ciò che è apparentemente altro da Sè.
“L’amico è un altro te stesso” affermavano i pitagorici, così come per noi il Fratello. Lasciamo che l’esercizio in Tempio di tale consapevolezza si concretizzi in un vivere le relazioni, anche fuori da esso, in maniera completa e appagante.
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