Nel XVII secolo, durante il quale si è andata formando la struttura dei rituali massonici della cosiddetta Massoneria moderna, la Bibbia fu tradotta, in Inghilterra, da un gruppo di dotti appositamente convocati da Re Giacomo I per soddisfare l’esigenza di una reinterpretazione del testo che non dipendesse dalla Vulgata. La Bibbia di re Giacomo fu resa pubblica nella sua forma definitiva nel 1611.
La revisione critica del testo biblico, pertanto, era, in quel tempo, all’attenzione del mondo accademico, della Royal Society (fondata nel 1660), della quale facevano parte molti famosi scienziati, alcuni dei quali ritroveremo all’origine del Neo Druidismo e della Massoneria cosiddetta moderna, come John Aubrey, Christopher Wren e Elias Ashmole. Presidente della Royal Society fu Isaac Newton, grande scienziato e grande esoterista, al quale dobbiamo un Trattato sull’Apocalisse. In particolare, oggetto di attenzione erano gli scritti di Giovanni, per il loro contenuto che sembrava andare ben oltre la descrizione di eventi legati alla figura di Gesù il Cristo.
“La prima versione del Trattato sull’Apocalisse di Isaac Newton, che risale agli anni Settanta del Seicento – scrive Maurizio Mamiani -, contiene una serie di riflessioni e di strumenti metodologici di estremo interesse per una più piena comprensione dei legami tra scienza e religione nella delicata fase di formazione del pensiero scientifico moderno”.[1]
Secondo Newton, Dio diede le profezie perché fossero interpretate dal talento umano e che si tratti di interpretare il linguaggio rivelato o il mondo nei suoi fenomeni non fa molta differenza, poiché sia la rivelazione, sia la creazione del mondo discendono da Dio e dalla sua volontà. Il linguaggio profetico deve essere compreso nella propria specificità di linguaggio figurato.
“È vero – scrive Mamiani – che nel Trattato Newton usa definizioni linguistiche e nei Principia definizioni matematiche; tuttavia, poiché sono entrambe trattate more geometrico, Newton le considera allo stesso modo: esempio di fusione, o forse non del tutto consapevole confusione, tra metodi tradizionalmente distinti. Il metodo di interpretazione dell’Apocalisse è dunque, formalmente, lo stesso metodo matematico-sperimentale dei Principia”. [2]
Il metodo ermeneutico è, pertanto, quello geometrico (“More geometrico”).
Nell’Apocalisse uno scenario cosmico
Nell’Apocalisse di Giovanni si legge che un angelo misurò la Gerusalemme celeste: “E la città era quadrangolare, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi; la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali”. (21,16).
La Gerusalemme celeste è, pertanto, un cubo.
La simbologia massonica della pietra cubica, uscita dalla gabbia dell’interpretazione moralistica, si innalza nell’iperuranio.
La Gerusalemme celeste è un cubo di 12x12x12 cubiti.
12 per 12 = 144
144 è il doppio di 72, un numero che corrisponde ad un grado precessionale, ma anche alla tetraktis pitagorica scritta con le lettere ebraiche che costituiscono il nome di Jahveh.
La riga del Maestro delle Cerimonie massonico è, non a caso, di 144 unità, in quanto egli è il conduttore di una cerimonia, ossia di un’azione sacra.
12x12x12= 1728
1728 può anche essere letto come 27×64 oppure 33x26, ossia 9×64.
Evito in questo contesto di affrontare le qualità dei numeri per non appesantire una trattazione intesa a focalizzare l’attenzione su altro.
Un solo accenno al 64, che riguarda l’occhio di Horus.
C’è un altro possibile cubo richiamato nell’Apocalisse: il cubo della bestia.
Giovanni scrive: “Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei”. (13,18). Cifra che può anche essere letta come 6.6.6 ossia il 6 al cubo.
I numeri arabi o indiani sono entrati nell’uso nel X secolo, pertanto il seicentosessantasei di Giovanni o lo si scrive in greco o in numeri romani.
Seicentosessantasei in numeri romani è DCLXVI e 1728 è MDCCXXVII.
Il famoso 666 come numero della bestia è, ovviamente, un’interpretazione tarda in numeri arabi. Un’interpretazione che ci facilita solo il calcolo.
Proviamo, pertanto a calcolare.
666, se lo interpretiamo come una moltiplicazione del 6 per se stesso, ossia 6x6x6 o 63, è il cubo di 6 = 216 (CCXVI).
2160 (MMCLX) è uno scatto del ciclo precessionale da un asterisma ad un altro: 72×30.
Se dividiamo 666 per 6 otteniamo 111 (CXI).
111 è tre volte 37 (XXXVII).
Il 111 è un numero particolare e 111.111 è ritenuto chiave.
Il 666 è 18 volte 37.
Il 37 è un numero particolare. E’ anzitutto un numero primo. È parte delle terne pitagoriche (12, 35, 37), (37, 684, 685).
Nella cattedrale di Chartres la navata ha le seguenti proporzioni: lunghezza 74 mt, altezza 37 mt , larghezza 32,46 mt. La pianta è concepita secondo le regole del numero aureo (1,618). Le distanze fra le colonne, la lunghezza delle navate e dei transetti sono multiple di 1,618. Infatti dividendo la lunghezza originaria 111/3 si ha 37 mt altezza. La larghezza 32 x 2 =74. Larghezza più altezza è 111. Il rapporto dei numeri 37 (1/3)-74 (2/3) -111 (3/3) è riporta al simbolo della triplice divinità: OSIRIDE-ISIDE-HORUS. Il 111 è anche il simbolo dell’Uno-Trino.
Il 111 è anche il numero che mette in relazione i cicli solari con i cicli lunari.
L’analisi dei numeri potrebbe continuare a lungo e portarci lontano, ma qui mi fermo.
Da quanto scritto sin qui comincia a profilarsi, dietro alla narrazione apocalittica, uno scenario cosmico. Procediamo ancora secondo l’indicazione di calcolare e di leggere in trasparenza, dando ovviamente per scontato che l’intera narrazione giovannea riguarda in superficie il rapporto tra Dio, Cristo e l’Umanità.
Se utilizziamo ancora la geometria, questa volta intesa come gematria, possiamo forse fare un passo in avanti. La parola gematria deriva dell’ebraico “גימטריה (gīmatrījā)“; adattamento del greco “γεωμετρία geometría)” cioè geometria.
Nel sistema di numerazione greco, la Gematria del numero 666 è data dalle lettere greche χ (chi) = 600, ξ (csi) = 60 e ϛ ( sigma) = 6.
Abbiamo pertanto la parola χ ξ ϛ che acquista una sua possibile interpretazione in chiaro se scritta nelle lettere ebraiche קסר נרון, che tradotte in lettere greche danno come risultato Νέρων Καῖσαρ,Neron Caisar, ossia Nerone.
La bestia intesa come imperatore romano si accorderebbe pertanto con l’Impero romano e con quanto Giovanni narra a proposito della caduta di Babilonia, la prostituta, chiaramente identificata con Roma.
La bestia, grazie alla geometria (gematria) ci appare nella sua dimensione storica: il cubo 666, ossia la città terrena di Roma, sede dell’impero, opposta alla città di Dio, il cubo 123: la Gerusalemme celeste. Che il numero della bestia rappresenti il nome di un uomo appare ormai chiaro. L’uomo è il Cesare.
Qui Giovanni non profetizza, ma molto più semplicemente lancia i suoi strali contro l’Impero romano.
Ma torniamo alle immagini simboliche dal grande significato criptato, in quanto la simbologia dei due cubi rinvia a scenari cosmici.
Sirio, la Grande Dea Madre Cosmica dell’antico Egitto
Al suono della settima tromba, nel cielo appare “un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna ai suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. La donna è incinta e grida “per le doglie e il travaglio del parto”. Nel cielo appare un drago che vuol mangiare il bambino. “Essa – scrive Giovanni – partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni”. (12, 1-6).
Lo scettro di ferro ricorda l’Uas egizio.
L’immagine della donna fornita da Giovanni è quella che richiama Maria e la nascita di Gesù, ma più precisamente corrisponde alla Grande Dea Madre Cosmica, ossia Iside-Sirio, la stella della quale il sole Horus è il figlio, che è osteggiato da Seth. Il dragone richiama anche Apopis, il serpente che ingoia il sole.
Anche le immagini della nascita di Gesù lasciano pensare a mitologie traslate. La nascita è annunciata da una stella (si attende il “figlio della stella”); è assistita da pastori e greggi (il mito del re pastore) e da un bue/toro (animale solare, associato a Ptah, a Ra e a Horus stesso) e da un asinello (animale associato a Seth). L’omaggio dei Re Magi, ossia dei sapienti Caldei, indica la linea di continuità con la tradizione sacerdotale, regale e taumaturgica mesopotamica. La fuga in Egitto per sfuggire ad Erode ricorda la fuga di Iside che ripara nel Delta per impedire a Seth di uccidere Horus neonato. E appunto nel Delta si svolge in gran parte il viaggio di Maria.
La Grande Dea Madre Cosmica, Sirio, è messa da Giovanni nel deserto in un luogo sicuro per 1260 giorni, un numero che ci riporta al ciclo precessionale. Il suo doppio infatti è 2520. Un intero ciclo precessionale è 25.765 anni circa. Dietro al numero 1260 giorni si nasconde una metà del ciclo precessionale, ossia 12.600 anni. Retrodatando di 12.600 anni siamo nel Neolitico, ossia nel periodo nel quale la Grande Dea Madre Cosmica era venerata ovunque.
La divinità sincretica più importante del pantheon egizio, che è stata a lungo adorata anche in Europa, è Iside, associata a Sirio-Sothis, la egizia Spdt, detta la puntuta nel cui geroglifico compare la stella a cinque punte.
Iside “La Regina”, la dea dai molti nomi è, come Ishtar o Ashtoret o Afrodite, dea dell’amore celeste e dell’amore terreno.
Vediamola nella sua forma greca: Afrodite, figlia della dispersione-castrazione di Urano, è dea che emerge dalle onde salate, nasce dal mare (come mor gane – Morrigane – Morgana) e porta l’epiteto di Pelagia, la marina. Altri due epiteti, come riferisce Platone, ne caratterizzavano la distinzione tra l’amore terreno (Pandemia, ossia colei che ama tutto il genere umano) e quello celeste (Urania). Afrodite veniva inoltre chiamata Apostrophia, ossia colei che si volta da parte. Afrodite veniva anche chiamata Dione, forma femminile di Zeus. Siamo di fronte ad una divinità androgina, anche se in forma meno evidente che in altre tradizioni.
Sotto il nome di Epitragia, Afrodite cavalcava un caprone, come la divinità basca Mari. La sua isola preferita era Cipro, dove veniva adorata in forma di Afrodito, uomo barbuto (come il Baphomet dei Templari). Venere (Sirio), ovvero Afrodite (Iside) è stella del mattino e della sera (Stella matutina, Stella vespertina). A questo proposito va notato che Ishtar, la venere mesopotamica, manifestava attributi sia maschili, sia femminili: in qualità di stella della sera era femmina, mentre come stella del mattino era maschio. [3] Ishtar, la sumera Inanna, ha inglobato Attar (divinità semita maschile associata a Venere), poi divenuta Ashtar (maschile) e, infine, Ishtar (femminile). Attar aveva una sembianza femminile, denominata Attart, che diventerà in seguito Astart o Astoret, nome che i greci tradussero in Astarte, ossia Afrodite. A Ishtar era associata la stella a otto punte e a lei era sacro il numero otto. Un elemento, questo, doppiamente significativo, in quanto troveremo l’ottagono nelle chiese templari e cistercensi e nel maniero di Castel del Monte, costruito da maestri costruttori legati al mondo templare e cistercense. L’otto è numero legato anche a Kemenw, la città di Thot e dell’Ogdoade.
Ishtar, la stella della capra, è Venere e a Venere, come già visto, corrisponde a Sirio, ritenuta stella imperitura, come le polari. Nei Testi dei Sarcofagi viene invocata in riferimento all’anima: “ … o mia anima, Sothis, preparami una via, costruisci una scala che giunga a te, Grande Polo, tu che sei mia madre, che io possa andare dove sorge Orione … “.
La devozione alla Stella del Mattino prosegue nel medioevo cristiano, come simbolo di Maria Vergine. S.Bernardo riporta in auge l’inizio del cammino iniziatico nel nome di Maria (Iside-Sothis), dedicandole le cattedrali gotiche.
Va anche notato che l’epiteto per Sirio di “Grande Polo” ne indica la funzione di riferimento assiale, di sole dei soli, di stella di riferimento principale. L’invocazione alla preparazione di una via per raggiungere il luogo dove sorge Orione la indica come apritrice delle vie, una funzione svolta da Anubis-Upuaut, il cane apritore delle vie (Sirio è detta anche “Stella del cane”).
Il trono di Dio, trono del Sole
Un’altra immagine di grande interesse è la descrizione del trono di Dio, che sembra corrispondere a quella del Sole, attorno al quale stanno le quattro direzioni dei punti cardinali e le 24 ore del giorno (i 24 vegliardi seduti sui 24 seggi).
L’aspetto di colui che è seduto sul trono è simile a diaspro e tormalina, due pietre preziose rosse. Attorno al trono c’è un arcobaleno, ossia il simbolo del rapporto tra il cielo e la terra, ma anche della rifrazione, dovuta alla nebulizzazione dell’acqua nell’aria, della luce del sole nei 6 colori dell’iride: rosso, arancione, giallo, verde, blu e violetto.
Abbiamo qui raggruppati i simboli del fuoco (il Sole rosso lucente seduto sul trono celeste), dell’aria e dell’acqua (la nebulizzazione dell’acqua nell’aria) e della la terra, dove l’arcobaleno si posa. L’arc en ciel è così il simbolo dell’alleanza tra cielo e terra.
La simbologia cosmica è del tutto evidente e lo è ancora di più quando (vedi supra) sulla scena apocalittica (apocalisse significa svelamento) compare Sirio, la Grande Madre cosmica del Sole.
L’insieme simbolico ci riporta con forte evidenza alla tradizione egizia.
Acquista tutt’altro significato, a questo punto, la prima parte dell’Apocalisse, dove in mezzo a sette candelabri d’oro compare a Giovanni uno “simile a figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiolo. La voce era simile al fragore di grandi acque. Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una grande spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza”. (1, 12-16).
La interpretazione cristiana è ovviamente che l’essere che si presenta a Giovanni sia Cristo, ma l’insieme dell’Apocalisse ci dà un’indicazione che ci riporta ad Osiride (il padre), il Sole che è stato ucciso e che risorge ogni giorno come Horus (il figlio).
Sette Chiese: un percorso osiriaco
In questo possibile ambito interpretativo i passaggi nelle sette chiese si presentano come sette tappe del percorso del defunto (o dell’iniziato) nella Duat.
Ad ogni chiesa, o tappa, c’è un premio per il vincitore.
Prima tappa: “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita”.
L’albero della vita è collegato al Djed, la colonna vertebrale di Osiride, e alla cerimonia del raddrizzamento, che equivale alla resurrezione. Il Djed esprime il concetto di stabilità. L’albero corrispondente è la palma, o meglio, l’albero Ima, il dattero maschio, Albero Sacro, il cui femminile Imait era il soprannome della dea Athor. Nel Libro dei Morti le allusioni all’Albero sono frequenti e riguardano il sicomoro, la palma da dattero e il ficus religiosa. [4]
Seconda tappa: “Il vincitore non sarà colpito da seconda morte”. La incapacità a ricostruire il corpo di luce crea le condizioni per la seconda morte, ossia la morte del corpo di luce, dopo la morte del corpo fisico. Con il corpo di luce il defunto non subirà la seconda morte.
Terza tappa: “Al vincitore darò la manna nascosta e la pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve”. E’ qui evidente il riferimento all’egizio Akh Akhu, il corpo di luce, primo involucro dello spirito divino che si incarna; elemento trasfigurante: nella ritualità è l’essere santificato e rinato nella sfera del sacro. Il sogno ad occhi aperti del defunto o dell’iniziato è divenuto realtà; è divenuto una stella, un essere risplendente. Il corpo di luce è il corpo che ha raggiunto un alto grado di conoscenza, potere e gloria per cui diviene eterno. Il nome nuovo è il Ren: la definizione completa dell’essere umano, comprensiva del nome segreto Ren Sheta: il nome occulto che mantiene in vita e conferma la vita. Nel nome occulto nell’antico Egitto si riteneva fosse racchiusa l’essenza della cosa nominata. [5]
Quarta tappa: “Darò al lui la stella del mattino. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Il defunto o l’iniziato riceve la stella a cinque punte, simbolo di Venere, Sirio, la Grande Dea Madre Cosmica Iside.
Quinta tappa: “Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita….”. Il defunto, o iniziato, è riconosciuto, vestito con la veste di bianco lino, come avveniva nei riti Isiaci e Osiriaci ed entra a far parte del nucleo degli iniziati. Il vestito bianco è il simbolo del corpo di luce.
Sesta tappa: “Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio…”. Il defunto o l’iniziato è riconosciuto come sacerdote, colonna del tempio, essere sacralizzato.
Settima tappa: “Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono…”. Il defunto o l’iniziato è ora un Osiride giustificato.
Inizia a questo punto, nella narrazione di Giovanni, la parte relativa ai sette sigilli che chiudono un libro. I primi quattro sigilli, che l’iniziato può rompere, in quanto Agnus Dei, che tradotto in egizio si potrebbe dire Agnello dell’Ariete, ossia di Amon, consentono di rivelare la funzione di quattro cavalieri che sono su quattro cavalli i cui colori sono quelli della Dea (bianco, rosso, nero e verde). Il quinto sigillo rivela la funzione della testimonianza. Il sesto sigillo rivela che nessun potente della terra è potente come il Divino e mantiene la sua fragilità se non ha seguito la via iniziatica.
Chi invece ha seguito fino in fondo la via dell’iniziazione o quella del defunto nella Duat non deve più temere.
Il settimo sigillo e lo svelamento
Siamo arrivati al settimo sigillo che rappresenta un punto di svolta: lo svelamento.
Ad aprire il settimo sigillo è l’Agnello. “E avendo aperto il 7° sigillo, si fece silenzio nel cielo quasi di mezz’ora. E vidi sette angeli che stanno davanti a Dio e furono dati ad essi le trombe” ( 8,1).
Il verbo apocaliptein significa scoprire, togliere il velo, svelare qualcosa che è nascosto.
L’Apocalisse è pertanto svelamento di segreti naturali o divini e manifestazione di verità soprannaturali.
Con gli occhi del mondo fisico è possibile vedere solo il ri-velato, in quanto, senza il velo c’è il Nulla, lo zero, la cifra, il campo zero quantico, il Puro Pensiero, l’infinita Informazione.
Iside dice:
“Io sono colei che ha separato il cielo dalla terra. Io ho insegnato all’umanità i misteri.
Io ho indicato la via verso le stelle. Io ho stabilito il corso del sole e della luna.
Io sono la regina dei fiumi, dei venti e del mare. Io ho unito gli uomini e le donne.
Io ho dato le leggi all’umanità e ho ordinato ciò che nessuno può alterare.
Io ho reso la giustizia più potente dell’argento e dell’oro.
Io ho fatto in modo che la verità sia considerata bella.
Io sono colei che viene chiamata la dea delle donne.
Io, Iside, sono tutto ciò che è stato, che è e che sarà; nessun mortale ha mai sollevato il mio velo.
Il frutto a cui ho dato nascita è il sole“. (Iscrizione nel Tempio di Iside a Sais).
Sollevare il velo, ossia il vestito della forma, lascia nudo l’informale, il senza forma, il quale, proprio per il suo non avere forma, è senza misura e quindi senza tempo: infinito e nascosto; non conoscibile.
Il rapporto Iside (Sirio) Horus (il Sole) è lo stesso esistente tra l’Arché e il Logos.
Togliere il velo, svelare, significa andare oltre il conoscibile e, proprio per questo, andare oltre la forma, la misura e il tempo.
Apocalisse scrive in proposito Natoli – è “svelamento da apo-kalypto: dis-occulto, scopro il celato. Il Verbo kalypto, infatti, risale alla radice indoeuropea kel da cui il celo latino, che significa appunto occulto, copro, nascondo. L’Apocalisse svela: in tal senso essa è compimento e fine poiché non concede ulteriorità, non c’è un dopo, non c’è nulla da sapere o altro da aggiungere. Ecco perché l’éscaton, in quanto tempo ultimo, è anche compimento del tempo”. [6]
Tuttavia, un’altra interpretazione possibile ci è data da una diversa traduzione del testo greco ως ημιωριον , che introduce il concetto non di mezz’ora, ma di un tempo di mezzo, di una pausa: il silenzio di Dio. Solo il silenzio è adeguato ad esprimere ciò che non si può esprimere a parole; è la pausa entro la quale sette angeli sono muniti di trombe che romperanno il silenzio.
“Con un’insistenza che avrebbe meritato maggiore attenzione – scrive Alfred Tomatis – gli antichi hanno sempre affermato che il mondo era stato generato da un suono primordiale, cioè da un dire iniziale proveniente da una voce suprema”. [7]
Il vocabolo ωρα è tradotto con tempo e ημι con semi, prefisso partitivo che indica la metà della cosa espressa. Inoltre, ως non è circa, ma come. Non siamo pertanto in presenza di un silenzio nel cielo di circa mezz’ora, ma di un silenzio nel cielo come semitempo, ossia come pausa tra un prima e un dopo: un prima rumoroso, una pausa di silenzio, un dopo rumoroso. Se così interpretato il testo ci dà il senso di una contrazione (sim) e di un’emanazione (sum) simile al respiro di Brahma: la fine del mondo e l’inizio di un altro mondo, la fine di un’era e l’inizio di un’altra era.
In questa analisi ci sovviene Isaac Newton, il quale, nel suo Trattato sull’Apocalisse (Boringhieri) propone regole interpretative precise e, tra queste, quelle che riguardano, nel testo, le “fratture”: ad esempio tra sesto e settimo sigillo, tra la sesta e la settima tromba e sostiene che “a queste fratture e sezioni, in accordo alla regola, devono essere adattati in proporzione periodi di tempo, che intercorrono e pongono fine a rivoluzioni della storia”.
“I sigilli e, all’interno del settimo sigillo, le trombe – scrive Newton – sono distribuzioni di tempo che si succedono ordinatamente le une dopo le altre, senza alcuna interruzione o interferenza”. Pertanto la pausa che interviene dopo l’apertura del 7° sigillo ha una valenza specifica, di interruzione e di pausa.
A cosa si riferisce Newton quando parla della regola? Al fatto che lui pone sullo stesso piano l’interpretazione della Scrittura e quella della Natura e di questa e di quella si possono identificare le regole.
Newton accenna ad un’antica dottrina tramandata dai maghi e dai saggi egiziani, ripresa da Mosè e da Daniele, nonché dai magi evangelici. Le sacre scritture, secondo Newton, attestano che gli antichi saggi (i maghi, gli interpreti dei sogni, ecc. ) avevano talento e pertanto la dottrina degli antichi è certa. Gli antichi interpreti, secondo Newton, hanno tramandato una dottrina vera. “Uno dei segreti degli antichi Egizi – scrive in proposito Daniel Levy – era costituito dal canto delle 7 vocali o delle divinità cosmiche”. [8]
Ecco quindi i sette angeli con le sette trombe, che rompono il silenzio.
L’Apocalisse, in questa parte, si presenta come la descrizione di un evento cosmico, svelato all’iniziato e non come una profezia.
“L’interpretazione delle profezie – scrive Maurizio Mamiani – consiste dunque soprattutto nel ripristinare il linguaggio primitivo che, come quello in parabole, è il linguaggio dei fanciulli …”. [9]
“Il ritorno agli antichi di Newton – aggiunge Mamiani – è in effetti un ritorno al linguaggio e all’esperienza comuni, a una fase primigenia della conoscenza in cui la realtà non è velata da sovrastrutture culturali e può essere colta direttamente. Non fu l’amore per il linguaggio criptico e allusivo ad attrarlo verso le oscure opere degli alchimisti o verso i libri profetici, ma la convinzione che essi nascondevano una pura e semplice verità, che poteva essere riscoperta togliendo le incrostazioni e le corruzioni (le immaginazioni private che si erano accumulate nei secoli) dei linguaggi che la velavano”.[10]
E’ necessario, pertanto, anche solo per avvicinarsi al possibile significato della profezia, uno sforzo di ricostruzione filologica attento e rigoroso. C’è molto lavoro da fare.
Il linguaggio dei profeti non si riferisce a concetti morali, ma secondo Newton a concreti eventi storici. Così ad esempio montagna significa città, sole un magistrato supremo, bestie selvagge eserciti, e via discorrendo. E’ il caso di Nerone e di Roma, dove il 666 cela il nome del Cesare romano e la prostituta cela la Roma imperiale.
“Quanto alla subordinazione delle trombe al settimo sigillo – scrive Newton – suppongo che sia abbastanza evidente, dal momento che esse sono le conseguenze immediate dell’apertura di quel sigillo: infatti non appena questo è aperto vengono date le trombe ai sette angeli affinché le suonino”.[11] Gli angeli suonano le trombe e riemergono i drammi della storia.
Un incensiere d’oro viene riempito dagli angeli con vari profumi insieme con le preghiere di tutti i santi e poi, dopo averlo mostrato a Dio l’angelo riempie di fuoco l’incensiere e lo getta sulla terra, con clamori, tuoni e fulmini. Man mano suonano le trombe si presentano alla coscienza le storie di eventi drammatici che hanno colpito il pianeta. La quinta tromba narra di un astro caduto dal cielo e il conseguente aprirsi dell’abisso. La sesta tromba ricorda le guerre e le devastazioni procurate dagli stessi uomini ai loro simili.
A questo punto Giovanni viene invitato da un angelo a ingoiare un libricino. Il suo gusto è dolce nella bocca dell’iniziato, ma nel suo ventre risulterà amaro, perché la conoscenza è sì dolce, ma anche amara, in quanto mette in chiaro sia i lati positivi, sia i lati negativi dell’esistenza.
A Giovanni, ossia all’iniziato, viene poi data una canna simile a una verga e gli viene detto. “Alzati e misura il santuario di Dio e il suo altare….”.
Giovanni è ora come l’angelo della canna d’oro, anche se la sua canna è solo una verga. Giovanni, l’iniziato, sa misurare; conosce la geometria.
A questo punto entrano in scena i due Testimoni che svolgano la funzione di profeti per 1260 giorni. Ritorna il numero precessionale.
Infine suona la settima tromba e compare l’arca dell’alleanza.
Il tragitto è compiuto e ora è giunto il momento di svelare con i segni la presenza della Grande Dea madre Cosmica, della quale abbiamo trattato supra e della presenza della bestia del mare e di quella della terra.
Qui Giovanni, come s’è detto, si cala nella storia a lui contemporanea e profetizza la fine dell’Impero romano, identificato con la bestia e l’avvento del regno di Dio dopo che gli angeli hanno combattuto gli uomini che non comprendono il messaggio divino.
Siamo angeli in un corpo terrestre
Giovanni a questo punto riprende la narrazione criptata, parla di una prima resurrezione (20, 5) e scrive che coloro che prendono parte alla prima resurrezione saranno beati e santi, in quanto su di loro non ha potere la seconda morte. E’ il concetto che è già stato esposto relativo alla costruzione del corpo di luce Akhu.
Ed è a questo punto che Giovanni introduce la descrizione della Gerusalemme celeste: un cubo luminoso, con pietre preziose, oro e perle che abbiamo descritto supra.
A questo punto nasce una questione assai interessante. L’angelo che guida Giovanni non misura solamente con la sua canna d’oro la dimensione della città, ma anche quella dell’altezza del muro che la cinge.
Il testo greco recita:
Le traduzioni presentano due scenari completamente diversi.
Nella Bibbia della Cei-Ueci si legge: “Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarataquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo”
Altre traduzioni affermano: “Ne misurò anche il muro, ed era di centoquarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, cioè d’angelo”.
Nella Bibbia di Re Giacomo si legge: “And he measured the wall thereof, an hundred [and] forty [and] four cubits, [according to] the measure of a man, that is, of the angel”. (“Ed egli misurò la parete di lui, cento e quaranta e quattro cubiti, secondo la misura di un uomo, cioè dell’angelo”).
Nella versione della Cei, l’angelo semplicemente utilizza le misure dell’uomo.
Nella altre versioni le due misure sembrerebbero coincidere, così come l’angelo e l’uomo.
L’uomo, pertanto, è un angelo racchiuso in un corpo materiale, ossia nel cubo della bestia, il cubo della corporeità, quello che è 6x6x6, mentre l’uomo angelo misura con una canna d’oro (ossia di luce) il cubo celeste, che è 12x12x12.
La possibile coincidenza dell’essere umano con l’essere angelico è avvalorata anche quando Giovanni vuole inchinarsi ad adorare l’angelo e questi gli dice di essere come lui, servo di Dio.
La coincidenza di essere umano e di angelo è proclamata in tutta la narrazione riguardante le sette chiese (i candelabri), a capo delle quali ci sono sette angeli (stelle). Qui la mente corre alle laminette orfiche: “Sono figlio della terra e del cielo stellato”.
Gli angeli umani che sono a capo delle sette chiese, ossia che sono custodi delle loro fiamme (i candelabri) sono sottoposti a prove e ricevono consigli.
1 – Ricordati da dove sei venuto, ossia ricordati della tua origine divina, che è la tua vera essenza. Ri-conosciti. Ri-accordati. Qui la concordanza del massonico invito a conoscere e stessi è evidente e fondamentale per ogni approccio alla via iniziatica.
2 – Sii fedele fino alla morte. Quando ti sei conosciuto e hai ri-conosciuto la tua essenza divina sii fedele a te stesso fino alla morte, in quanto ormai sai che la morte corporale non è la fine.
3 – Non concedere spazio ai vizi intorno a te. Una volta che sai chi sei procedi diritto per la tua strada, non lasciarti indurre a deviare e non concedere ad altri di deviarti.
4 – Non dare spazio ai falsi profeti. Una volta che hai compreso di essere un angelo in un corpo umano e che la via da seguire è quella del riaccordo con la tua essenza divina, non lasciarti deviare da false teorie e dal falsi profeti, che, come tali, vanno falsificati.
5 – Ti credi vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane. Qui il consiglio è esplicito e rivolto all’indugiare nel considerare la vita corporea come l’unica e nel non credere fino in fondo alla propria essenza divina. L’imperativo è svegliarsi e guardare in faccia alla realtà della propria essenza divina.
6 – Sei debole, ma hai osservato la mia parola. Questa è forse la parte più interessante dal punto di vista del rapporto tra la dimensione umana e la dimensione angelica. Per quanto l’essere umano abbia aperto la porta verso la propria dimensione angelica, ossia verso il Divino, la sua debolezza può richiudere il passaggio, ma a questo punto interviene quello che potremmo definire il daimon concertum, lo scambio, l’unione di intenti, l’accordo tra la mente umana e lo Spiritus, ossia l’ispirazione, (l’awen dei Druidi e i mercuri di Giordano Bruno). Quando la mente vacilla, l’ascolto diventa essenziale per ricevere l’input che ravviva la comunicazione.
7 – Sei tiepido, né caldo, né freddo. Dici che sei ricco e non hai bisogno di nulla, ma sei infelice e cieco. “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista”. Il consiglio è di animarsi d’ardore (Eros, il daimon dell’amore), perché l’accontentarsi dei beni terreni, della pace terrena, anche delle buone azioni terrene non è sufficiente. E’ necessario l’ardore, lo slancio vitale, il fuoco dello Spirito. Solo così ci si veste del corpo di luce e si recupera la vista. La serena medietas, l’aurea mediocritas, non appartengono all’iniziato, che deve bruciare d’ardore, sentire il fuoco interiore dello Spirito. E’ questo ardore che alimenta il bianco vestito, il corpo di luce, l’Akhu; che lo consolida e lo stabilizza. Solo così l’iniziato potrà diventare un Osiride giustificato o, come scrive Giovanni, in termini giudaico cristiani, potrà sedersi sul trono accanto a Dio.
La coincidenza dell’essere umano e dell’essere angelico (stati molteplici dell’essere), sia pure operanti su due piani diversi della realtà, avvalora quanto affermato in relazione alla seconda morte. Chi conosce la propria dimensione angelica vede perire il proprio corpo materiale, ma non il proprio corpo di luce. Ha costruito la propria eternità.
E’ la conoscenza che salva. E la via iniziatica massonica è (deve essere) via di conoscenza. Non altro. Perché “l’altro” è inganno contro iniziatico, indotto dalla hýbris.
Infine un solo cenno a Giovanni. Chi è Giovanni? E’ Giovanni l’apostolo e si identifica con l’evangelista del IV Vangelo oppure è un’altra persona? La questione, a lungo dibattuta fin dall’antichità e, soprattutto negli ultimi due secoli, non ha trovato una soluzione univoca tra gli studiosi. In ogni caso, Giovanni ci ha regalato un tesoro da scoprire.
© Silvano Danesi
[1] Maurizio Mamiani,Newton e l’Apocalisse. I Castelli di Yale, I (1). pp. 5-16.
[2] Maurizio Mamiani,Newton e l’Apocalisse. I Castelli di Yale, I (1). pp. 5-16.
[3] Michael Baigent, Il cielo di Babilonia, Ed. Tropea, Milano
[4] Vedi in proposito Boris De Rachewilz, Egitto magico religioso, Edizione della Terra di Mezzo
[5] Vedi in proposito Boris De Rachewilz, Egitto magico religioso, Edizione della Terra di Mezzo
[6] S.Natoli, Telos, skopòs, éscaton. Tre figure della storicità, Feltrinelli, citato in Umberto Galimberti, Cristianesimo, Feltrinelli.
[7] Alfred Tomatis, Ascoltare l’universo, Baldini e Castoldi
[8] Daniel Levy, Eufonia, Orphea
[9] Maurizio Mamiani, introduzione a Isaac Newton, Trattato sull’Apocalisse, Boringhieri
[10] Maurizio Mamiani, introduzione a Isaac Newton, Trattato sull’Apocalisse, Boringhieri
[11] Isaac Newton, Trattato sull’Apocalisse, Boringhieri
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